Sulla “rinuncia” di Benedetto XVI

Dopo quasi dieci anni, ritorno a esporre qualche perplessità sulla rinuncia di Benedetto XVI (ne avevo parlato qui e qui).

Rileggiamo il passaggio cruciale della Declaratio:

«Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice».

Rileggiamo il canone 332, paragrafo 2, del Codice di Diritto canonico:

«§2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.»

Chiediamoci ora: la rinuncia del 2013 è valida?

I motivi per rispondere affermativamente sono:

1) Benedetto XVI esprime l’intenzione chiarissima di rinunciare precisamente a quel «ministero» ricevuto «per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005»: non a “una parte” di quanto ricevuto, ma proprio a “ciò” che ha ricevuto. Avendo ricevuto il pontificato, è al pontificato che rinuncia. Fine delle discussioni.

2) la conseguenza della sua proclamata intenzione è precisamente la necessità di convocare «il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice»: non per eleggere un “collaboratore” del Papa, né un suo “luogotenente”, ma proprio il Papa. Fine delle discussioni.

3) non risulta che fra i Cardinali, soli titolari del potere di eleggere il Sommo Pontefice, qualcuno abbia sollevato il minimo dubbio sulla validità della rinuncia papale del 2013. Fine delle discussioni.

I motivi per rispondere negativamente sono:

1) mentre il Codice di Diritto canonico prescrive che la rinuncia papale sia una rinuncia all’ufficio (“munus”) di Romano Pontefice, Benedetto XVI ha dichiarato di «rinunciare al ministero di Vescovo di Roma». Per quanto “ufficio” e “ministero” siano affini, non sono coincidenti e rinunciare a uno non equivale a rinunciare all’altro; si è così generato un dubbio che è destinato ad aleggiare nei secoli sulla Declaratio benedettiana dell’11 febbraio 2013.

2) è vero che il Codice di Diritto canonico non stabilisce che per la validità della rinuncia sia necessario “menzionare” la parola “munus”; tuttavia il Codice stabilisce che la rinuncia papale consiste precisamente nella rinuncia a quel “munus”: logica vuole che il Papa dimissionario debba esprimere esattamente questo, e non altro.

3) il Codice di Diritto canonico inoltre richiede che la rinuncia debba essere «fatta», e non “dichiarata”; a rigor di logica, il Papa dovrebbe dire: «Rinuncio all’ufficio» e non: «Dichiaro di rinunciare all’ufficio».

4) che la rinuncia debba essere «fatta» significa che non dovrebbe essere solo “annunciata” o “dichiarata” (con efficacia posticipata, come nel caso del 2013): in data 11 febbraio la rinuncia venne dichiarata, ma non ci fu mai, alle ore 20 del 28 febbraio, la dichiarazione esplicita e formale di una rinuncia «fatta».

5) come se non bastasse, nell’ultima “Udienza generale” di mercoledì 27 febbraio 2013 Benedetto XVI pronunciò frasi talmente prive di senso che fecero spazio a teorie assurde come quella della “condivisione del ministero petrino”, del “ministero petrino allargato” comprendente un “esercizio attivo del ministero petrino” e un “servizio contemplativo” nella preghiera. Tali assurdità hanno inevitabilmente inficiato l’intenzione – fino a quel momento chiarissima – di rinunciare al pontificato.

Se esistono validi motivi sia per affermare che per negare la validità della rinuncia benedettiana, allora la rinuncia stessa è dubbia. Se è dubbia, è nulla. Se è nulla, Benedetto XVI non ha mai cessato di essere Papa, il Conclave del 2013 è illegittimo e Francesco è sempre stato un Antipapa: pertanto non sarebbe mai esistito un vero “Papa Francesco” e tutti i suoi atti sarebbero nulli. Ciò potrebbe spiegare la deriva ereticale e immorale dell’ultimo decennio, dato che non può vivere la Chiesa senza Papa, o sottomessa a un Antipapa.

Il “papato emerito” è un formidabile colpo di maglio al fondamento della Chiesa di Roma.

Kyrie, eleison!

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