Two Papi is megl che uan…

twopapis

…but three is megl che two!

Continuando a ragionare sopra la situazione inaccettabile, venutasi a creare con l’istituzione del “papato emerito” (che, secondo il Prefetto della Casa Pontificia, nonché segretario particolare del cosiddetto “Papa emerito”, ha trasformato in modo profondo e duraturo il ministero petrino, al punto che il papa “attivo” ha affermato che Benedetto XVI ha “istituito di fatto” il “papato emerito”), ho trovato in rete un articolo interessantissimo del prof. Ratzinger, pubblicato nel lontano 1978, quando il Nostro, dopo avere preso parte al Concilio Vaticano II in qualità di perito del cardinale progressista Josef Frings, era già stato nominato Arcivescovo di Monaco e Frisinga (24 marzo 1977), oltre che Cardinale di Santa Romana Chiesa (27 giugno 1977).

Inserito in un volume collettaneo con i contributi di diversi storici e teologi (fra i quali Giuseppe Alberigo e Walter Kasper), l’articolo di Ratzinger era intitolato “Der Primat des Papstes und die Einheit des Gottesvolkes” (ossia: “Il Primato dei Papi e l’unità del Popolo di Dio”) ed è stato ripubblicato integralmente in inglese sulla rivista Communio nel 2014, con il titolo “The Primacy of the Pope and the Unity of the People of God”. Pochi giorni fa il blog di Ann Barnhardt ne ha ricordato l’importanza in un articolo che è stato tradotto in italiano da Inter Multiplices Una Vox.

Il prof. card. Ratzinger prendeva le mosse considerando la pluralità intrinseca del collegio dei Dodici, delle tribù di Israele, e della tri-personalità di Dio, nella quale si radica ogni “noi” della storia umana. Ciò posto, Ratzinger prendeva in considerazione la tesi di Erik Peterson (1890-1960, convertitosi al Cattolicesimo nel 1930), secondo cui l’Arianesimo era una «teologia politica» favorita dagli imperatori, in quanto assicurava una analogia divina con la monarchia politica, mentre il trionfo della fede trinitaria ne avrebbe rimosso la giustificazione teologica. Peterson a questo punto estendeva il discorso alla Chiesa e sottolineava come il “Dio-noi” doveva diventare il modello dell’azione della “Chiesa-noi”.

Notava quindi Ratzinger che le interpretazioni di queste intuizioni di Peterson si erano spinte, in taluni pensatori, fino a ritenere che l’esercizio del Primato Petrino da parte di un singolo uomo fosse ispirato al modello ariano e che quindi la Chiesa, volendo imitare la tri-personalità di Dio, avrebbe dovuto essere guidata da un collegio di tre persone: i membri di questo triumvirato, agendo insieme, sarebbero stati il papa. Qui Ratzinger annotava che non era mancata una ingegnosa speculazione che era giunta a risolvere il problema ecumenico direttamente con la teologia (cioè con la concezione trinitaria di Dio), formando una troika papale in cui un cattolico, un ortodosso orientale e un protestante avrebbero esercitato il “ministero petrino”.

Ecco perché ho voluto scherzare: Two Papi is megl che uan… but three is megl che two!

Torniamo seri. Bisogna riconoscere che, fin qui, Ratzinger non stava esponendo il proprio pensiero, ma solo ragionando su idee altrui: non era il futuro Benedetto XVI a proporre la troika papale: sarebbe stato veramente troppo!

Più interessante però è proseguire la lettura dell’articolo per capire in base a quale ragionamento e a quali princìpi l’idea derivata da Peterson veniva respinta. Si tratta del consueto schema tesi-antitesi-sintesi.

Ratzinger per prima cosa affermava che le riflessioni appena esposte non erano completamente inutili; poi le stroncava perché erano una distorsione della dottrina trinitaria e una intollerabile fusione iper-semplificata tra il Credo e il sistema di governo della Chiesa.

Faccio notare questo: che non v’è traccia, in questo dibattito fra teologi, della divina istituzione del Papato cattolico, né di ciò che lo rende un immodificabile e perenne vertice gerarchico. Non v’è traccia del volere di Nostro Signore Gesù Cristo.  

Secondo Ratzinger era necessario un approccio “più profondo”, che chiarisse maggiormente i legami tra la “teologia della comunione” (quindi la collegialità episcopale) e la “teologia della personalità” (cioè della responsabilità personale): «il “Noi” non dissolve l'”Io” e il “Tu”, piuttosto li conferma e li intensifica». Qualsiasi cosa significhi, il professor Cardinale scrisse proprio così. L’esposizione di questo tema si concludeva notando che il “Noi” dell’unità dei Cristiani era mantenuto da persone-titolari della responsabilità per questa unità, che è personificata da Pietro, che riceve un nuovo nome – nome che trascende l’individuo storico -, e diviene l’istituzione che attraversa i secoli in un modo tale che «questa istituzione può esistere solo come una persona e in particolare una responsabilità personale».

A parte i giri di parole e le tautologie, non è chiaro se l’istituzione-Pietro si realizzi in un solo individuo – il Papa – in modo totalmente esclusivo. Nei teologi novatori, tra i quali certamente vi è Ratzinger, la “personalità” dell’istituzione può coniugarsi tranquillamente con la sua “collegialità”. L’articolo in esame è continuamente percorso da siffatta idea… personalità e “uni-personalità” non sono sinonimi.

Tutto questo ragionare è solo umana filosofia: manca, insomma, un rigetto delle tesi del papato “troikista” sulla base di un approccio veramente dogmatico e magisteriale. Tale mancanza, se da un lato non desta meraviglia in relazione alla debolezza interna delle idee di Peterson e dei suoi seguaci, dall’altro lato fa suonare più di un campanello d’allarme in relazione a quanto si leggerà in seguito.

Infatti qualche pagina più avanti, Ratzinger si avviava a concludere l’articolo trattando il tema, che gli era già caro, del Papato come martirio (“struttura martirologica del primato petrino”).

Il punto di partenza era una serie di interrogativi come questi:

Le richieste che si fanno [al Papa] nel nome di Pietro non superano forse le dimensioni di un essere umano? Tali estreme pretese possono essere giustificate, sia antropologicamente che sulla base di una prospettiva biblica? Oppure sono tali che si addicono soltanto a Cristo e, di conseguenza, applicarle a un “Vicario di Cristo” non è una violazione del principio del Solus Christus? 

A tali quesiti dava subito una risposta, per quanto sconcertante:

Se sì, allora, da una prospettiva generale ogni teologia petrina come quelle prima descritte sarebbero in contraddizione con il nucleo del Nuovo Testamento e quindi sarebbero da considerare come apostasia.

Quindi i compiti tradizionalmente affidati al Papa di Roma sono talmente “sovrumani” che è impensabile siano svolti da una sola persona: ciò sarebbe in contrasto con il Nuovo Testamento, sarebbe apostasia. La fedeltà al Papato tradizionale sarebbe apostasia: quanto siamo vicini alle invettive di Lutero che chiamava “Anticristo” il sommo Pontefice! Eccoci al punto: per risanare questa «apostasia» sembra si richieda di non permettere a «un solo essere umano» (o «un essere solo umano», chissà) di esercitare il ministero petrino.

A mio parere, siamo davanti non solo al rigetto della dottrina cattolica sul Papato così come era stata dogmaticamente stabilita dal Concilio Vaticano I, ma anche all’accusa di infedeltà verso Dio, rivolta alla Chiesa cattolica, proprio a motivo del Papato.

Sbaglio, o si comincia a sentire puzza di zolfo? Come leggiamo in “Principles of catholic theology”, per la ricerca dell’unità con gli Ortodossi e i Protestanti è impossibile

«considerare come la sola forma possibile e, di conseguenza, vincolante tutti i cristiani, la forma che questo primato [petrino] ha assunto nei secoli XIX e XX»

Sulla base di queste argomentazioni si direbbe che, secondo questi teologi, è necessaria una riforma del Papato che ne cancelli per sempre i caratteri fondamentali, così come li abbiamo conosciuti da secoli, specialmente il primato di giurisdizione derivato da Dio e il dogma dell’infallibilità pontificia.

Tornando all’articolo del 1978, al punto nel quale l’avevamo lasciato, Ratzinger saltava indietro al secolo XVI iniziando a fare riferimento a quanto sostenuto dal card. Reginald Pole nel dibattito con Thomas Cranmer, dato che in quell’approccio «la dimensione ecumenica è preservata in un modo che difficilmente si può ritrovare altrove».

In estrema sintesi, il pensiero del card. Pole che Ratzinger sottolinea era questo:

L’unico modo per partecipare alla maestà di Cristo è condividere concretamente la sua umiltà, che è l’unica forma in cui la sua maestà può essere resa presente e rappresentata in questo tempo. Pertanto il luogo autentico del Vicario di Cristo è la Croce […] L’ufficio del papato è una croce, anzi, la più grande di tutte le croci. Infatti, cosa somiglia di più alla croce e all’ansia per le anime, che la cura e la responsabilità per tutte le Chiese sparse nel mondo?

Non ritroviamo in queste parole l’essenza del “pontificato orante” che Ratzinger ritiene di svolgere dal 2013, dopo la sua presunta abdicazione dal “pontificato attivo”?

La conclusione dell’articolo era già allora tutta proiettata sulla nuova dimensione “ecumenica” del papato, che – non dimentichiamolo – resta «il più grande ostacolo nel cammino dell’ecumenismo» “verso la piena unità visibile” e che quindi deve essere oggetto di continua “riforma”:

Certamente sarebbe folle aspettarsi in un futuro prevedibile che la Cristianità si riunisca attorno al Papato, inteso come riconoscimento del successore di Pietro in Roma.  […] Eppure, può verificarsi una effettiva una funzione unificatrice del papa, che si estenda oltre la comunione della Chiesa cattolica romana. […] Per il papato e la Chiesa cattolica, le critiche dei non-cattolici al papato sono un incentivo a cercare una realizzazione del ministero petrino sempre più conforme a Cristo; per i non-cattolici, invece, il papa è la costante e visibile sfida a raggiungere l’unità concreta a cui è chiamata la Chiesa e che dovrebbe essere il suo tratto identificativo agli occhi del mondo.

A parte la consueta e fondamentale eresia mainstream – per cui l’unità della Chiesa fondata da Cristo si sarebbe perduta o ridotta a causa degli scismi, quando invece l’unità è un tratto permanente e caratteristico della vera Chiesa -, le conclusioni da trarre mi pare debbano esser tragiche: sia l’episcopato mondiale, sia il collegio cardinalizio, sia gli ultimi pontefici, per motivi “ecumenici” mirano alla demolizione del papato, sul quale Gesù Cristo fondò ed edificò la sua Chiesa. Gli ecclesiastici di rango più alto sono ormai concordi nell’affermare che Dio sia “il Dio delle sorprese” e “il padre di tutte le confessioni religiose”. Hanno manifestato l’intenzione di “avviare processi” a prescindere dalla coerenza con la dottrina. L’istituzione infame del ridicolo “papato emerito” e “condiviso” o “collegiale” rappresenta quindi una tappa fondamentale verso la demolizione del papato.

E’ bene riproporre qui uno dei brani più “rivoluzionari” mai scritti da un papa in una enciclica:

«Quando la Chiesa cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all’insieme dei Vescovi, anch’essi “vicari e delegati di Cristo” [Lumen gentium, 27]. Il Vescovo di Roma appartiene al loro “collegio” ed essi sono i suoi fratelli nel ministero. Ciò che riguarda l’unità di tutte le comunità cristiane rientra ovviamente nell’ambito delle preoccupazioni del primato. Quale Vescovo di Roma so bene […] che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti “dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina” [Unitatis redintegratio, 14]. In tal modo il primato esercitava la sua funzione di unità». (Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 95)

Ecco: siamo stati “aperti” a una indefinita “situazione nuova”. Non da “Francesco”, e nemmeno da “Benedetto”, ma da “san” Giovanni Paolo II che applica il “Concilio” voluto dallo “Spirito Santo”.

Possiamo dunque aspettarci qualsiasi cosa. L’unica certezza è che saremo presto confrontati – come predetto a Fatima – con un rinnegamento del dogma cattolico; e saremo indotti o costretti a farlo, in obbedienza ai nostri pastori (parroci, vescovi, papi).

Sarà una lotta durissima e rimarremo in pochi.

Miserere nostri, Domine, miserere nostri.

Santa Maria, prega per noi.
San Michele arcangelo, prega per noi.
Santi apostoli Pietro e Paolo, pregate per noi.